Il Viceconsole


Protagonista del romanzo omonimo di Marguerite Duras (1966), la cui vicenda è ambientata negli anni '30 a Calcutta, considerata qui capitale dell'India. Il suo nome proprio, peraltro mutilato, Jean-Marc de H., compare raramente e conta meno di quello legato alla sua funzione diplomatica, ovvero viceconsole di Francia a Lahore. Ma anche da questa funzione è ormai decaduto, è “in disgrazia a Calcutta”, in attesa di trasferimento. Il suo reato? “La cosa peggiore. Uccidere”, si dice nelle conversazioni che animano i salotti delle ambasciate. “Sparava di notte sui giardini di Shalimar dove si rifugiano i cani e i lebbrosi... Ma hanno anche trovato pallottole negli specchi della sua residenza a Lahore, lo sapeva?...E poi, bisogna ben dirlo, sono stati trovati dei morti nei giardini di Shalimar.” La spiegazione ufficiale è che “i nervi hanno ceduto”, fenomeno piuttosto corrente tra i funzionari stranieri dell'India coloniale, o almeno tra coloro che non riescono ad abituarsi al clima, alla noia, alla miseria, allo “scoraggiamento generale”. Inquietante anche fisicamente, grande, bruno, vestito di bianco, simile a un morto, con un volto che non sembra essere il suo, una voce in falsetto, il viceconsole è vergine, non ha mai amato, sino a quando incontra a Calcutta la moglie dell'ambasciatore francese, Anne-Marie Stretter (v.), personaggio fatale di varie opere durassiane, attorniata dai suoi amanti e ammiratori. Mentre tutti evitano ogni contatto con quest'uomo strano e imbarazzante, lei, l'ambasciatrice, ha preso l'iniziativa di invitarlo al suo ricevimento, acconsente verso la fine della serata a ballare con lui, ad ascoltarlo parlare di Lahore, e sembra comprenderlo profondamente. Sotto gli occhi dell'India bianca, al termine del ballo, il viceconsole comincia a gridare orribilmente che vuole passare una notte, una sola notte con lei, l'ambasciatrice di Francia, creando un disagio confinante con l'angoscia, che culmina con la sua brutale espulsione dal palazzo. Per tutta la notte e sino all'alba si udrà la sua voce alterata gridare fra i singhiozzi “il suo nome di Venezia a Calcutta deserta”, il nome italiano di Anne-Marie, Anna Maria Guardi, mentre lei, l'ambasciatrice, resta in silenzio con i suoi fedelissimi che commentano l'accaduto. “E se il viceconsole di Lahore fosse solo questo, un uomo come tutti quelli che cercano questa donna credendo che accanto a lei possa sopraggiungere l'oblio?”. Nel 1973 Marguerite Duras pubblica una nuova opera, India Song (testo, teatro, film), ricollocandovi gli stessi personaggi de Il viceconsole in una prospettiva teatrale e cinematografica. Sarà lei stessa a girare nel '75 il film India Song, che legherà per sempre al personaggio del viceconsole il corpo e la voce di un attore magnifico, Michael Lonsdale. Nella versione teatrale come nel film tutta la storia viene rievocata, anzi messa in scena, recitata, après coup, sapendo sin dall'inizio che si tratta degli ultimi due giorni di vita di Anne-Marie Stretter, e aggiungendo quindi al finale precedente uno sviluppo ulteriore. Il giorno dopo la notte del ballo, Anne-Marie si reca con quattro uomini in una delle isole del delta del Gange, in preda a una tristezza definitiva. Trascorre parte della notte nella residenza dell'ambasciata di Francia, e prima di sparire, all'alba, nel mare, resta a lungo distesa per terra, nel viale del parco. Il viceconsole di Lahore è seduto a dieci metri da lei, accompagnando così quella morte che ha in qualche modo, con la sua presenza, provocata. Di lui, ci viene detto, si perderanno le tracce. “Si è dimesso dal corpo diplomatico. Il dossier si chiude con le sue dimissioni.” Nell'universo durassiano, il viceconsole è il personaggio maschile più intenso e misterioso, portatore di morte (come lo sarà più tardi l'uomo de La malattia della morte, 1982) e di una parte di femminilità che lo rende cosė simile ad Anne-Marie (“Non abbiamo nulla da dirci. Siamo uguali”), alla mendicante indiana (v.), che al pari di lui inquieta la comunità diplomatica, e a Lol V. Stein (v.) con la quale condivide l'esclusione dalla coppia degli amanti, sancita per entrambi sulla scena di un ballo. Per quanto riguarda la vita personale dell'autrice, sappiamo che il viceconsole deve molto a un amico/amante dei suoi diciotto anni, Freddie, “l'ebreo di Neuilly”, che la inizia alla lettura della Bibbia e che diventerà viceconsole di Francia a Bombay. Del personaggio letterario, con il quale Duras dice di sentirsi “corpo a corpo”, colpiscono, per il loro rilievo nel testo, l'intelligenza (definita come “il male” che lo affligge) e la violenza, resa esplicita dal gesto di Lahore, che condensa nella sua follia una forma della disperazione, oppure, come dice il viceconsole: “ancora una forma della speranza”.

BIBLIOGRAFIA
Ninette Bailey, Discours social: lecture sociocritique du Vice-consul de Marguerite Duras, in R.J.North (a cura di), Literature and Society, Goodman & Sons, Birmingham 1980; Catherine Rodgers, Déconstruction de la masculinité dans l'oeuvre durassien, in Alain Vircondelet (a cura di), Marguerite Duras. Rencontres de Cerisy, Ecriture, Montréal 199al 1994.


Voce redatta da Edda Melon per il Dizionario dei personaggi letterari , a cura di Franco Marenco, 3 voll., Utet, Torino 2003.
Per gentile concessione dell’editore.