La mendicante indiana


Personaggio ricorrente in alcuni romanzi e film di Marguerite Duras. Anche se la sua prima apparizione è in un breve episodio di Una diga contro il Pacifico, 1950, dove è una giovane madre vagabonda che vuole cedere la sua bambina, la mendicante acquista maggior rilievo nel romanzo Il viceconsole, 1966, assurgendo a simbo lo della miseria indiana e del dolore del mondo. La storia ci trasporta negli anni '30, a Calcutta, nell'ambiente elegante e rarefatto delle ambasciate straniere; qui, sotto l'apparente precisione dei rituali mondani, si moltiplicano le crisi di nervi e i suicidi degli europei “che non si abituano” all'orrore dell'India coloniale. Da una parte le letture, il tennis, le feste da ballo, gli abiti da sera, gli stordimenti amorosi, la caccia nel Nepal, le vacanze nelle isole del Delta del Gange; dall'altra i lebbrosi, i pellegrini, gli affamati che aspettano gli avanzi di cibo dietro i cancelli dei palazzi, i bagliori dei crematori che bruciano i cadaveri. Su tutto, il caldo insopportabile, l'umidità, il monsone, la cappa del cielo, i temporali, i gridi degli uccelli, l'ululare dei cani, e uno “scoraggiamento generale”. La mendicante senza nome, folle, calva come un bonzo, coperta di stracci, dorme sulla strada, nuota nel Gange, si offre minacciosamente ai passanti, canta una nenia incomprensibile, grida nomi di luoghi, Battambang, Savannakhet, perché, accanto agli stranieri bianchi, anche lei è straniera, venuta da molto lontano, Birmania, Laos, Cambogia. Per i personaggi principali del romanzo rappresenta un enigma, anche perché si aggira proprio intorno alle loro residenze, dando l'impressione in particolare di seguire la moglie dell'ambasciatore di Francia, Anne-Marie Stretter (v.) e il viceconsole (v.) di Lahore, sotto inchiesta per aver sparato sui lebbrosi. Molte conversazioni ruotano intorno all'identité della mendicante. Peter Morgan, “un giovane uomo che desidera prendere il dolore di Calcutta, gettarvisi”, inizia a scrivere un romanzo per inventare una possibile storia della sua vita, basandosi su un racconto di Anne-Marie Stretter, che ricorda di aver assistito in un mercato verso Savannakhet, nel Laos, circa 17 anni prima, alla vendita di una neonata e di esserne rimasta segnata per sempre. Peter Morgan “vorrebbe ora sostituire alla memoria abolita della mendicante il bric-à-brac della propria”, e cos“ immagina che la donna, giovanissima, incinta, sia stata cacciata a sua volta dalla madre e spinta all'erranza, al bisogno, alla prostituzione, all'abbandono dei figli lungo la via. La trama del possibile romanzo della mendicante diventa conversazione mondana fra gli uomini devoti ad Anne-Marie Stretter, mentre quest'ultima dorme, o finge di dormire: l'accesso al mistero di quella donna per lei è diretto, l'ambasciatrice di Francia e la reietta di Calcutta sono due volti dello stesso destino femminile, al quale rispondono le lacrime dell'una e le risate folli dell'altra. Nel 1973 Duras pubblica India Song, destinato al teatro, i cui personaggi “sono stati sloggiati dal libro intitolato Il viceconsole e proiettati in nuove regioni narrative”. Nel 1975 girerà lei stessa, che ha già esperienza di regia cinematografica, un film culto, India Song, dove la mendicante e la sua melopea occupano ancora il centro ideale, senza che di lei si veda neppure un'immagine. La sua presenza è segnalata dai commenti dei Bianchi, dalle diversi modulazioni di una voce orientale dai toni alti e striduli, dal passaggio di un'ombra dietro i cespugli e tra gli alberi. Quando scrive L'amante, nel 1984, cioè l'autobiografia del periodo indocinese della sua vita, dalla nascita ai diciotto anni, Duras ha cura di rivelare anche le persone reali e gli incontri vissuti che sono alla base dei principali personaggi di finzione. Così leggiamo che a Vinhlong, in un viale buio e deserto, la pazza del luogo, una donna alta, magrissima, “magra come la morte e che ride e che corre”, cerca di afferrare una piccola Marguerite di otto anni agghiacciata dalla paura di essere toccata dalla morte o, peggio, dalla follia. “Tutte le mendicanti delle città, delle risaie, delle piste che bordano il Siam, delle rive del Mekong, ne ho popolato lei, quella che mi aveva fatto paura. È venuta da ogni parte. È sempre arrivata a Calcutta, da qualsiasi parte venisse. [...] Si comincia poi a vederla accanto alle discariche pubbliche, nelle periferie di Calcutta. E poi si perde. E poi dopo si ritrova ancora. È dietro l'ambasciata di Francia della stessa città. Dorme in un parco, saziata da un nutrimento infinito [...] Un giorno arrivo io, passo di l“. Ho diciassette anni.” Da questo evento circostanziato, personale, da questa “cellula generatrice” della sua opera, Duras estenderà il personaggio della mendicante ben oltre i confini dell'India, dandole portata universale, e facendola ricomparire dappertutto, a S.Thala per esempio, altro luogo mitico delle sue opere, nel testo e film La donna del Gange (1973), dove è colei “alla quale tutto è capitato nella catena organica della fame e del dolore e alla quale, niente, di conseguenza, può capitare d'altro, oramai, niente, se non queste parole senza senso, queste grida, queste risate”, sino ad affermare: “Perché per me, lei, la mendicante, esce dai carnai di Auschwitz.”

BIBLIOGRAFIA
Marcelle Marini, Territoires du féminin. Avec Marguerite Duras, Minuit, Paris 1977; Madeleine Borgomano, L'histoire de la mendiante indienne, in “Poétique”, 48, 1981.

Voce redatta da Edda Melon per il Dizionario dei personaggi letterari , a cura di Franco Marenco, 3 voll., Utet, Torino 2003.
Per gentile concessione dell’editore.