Anne-Marie Stretter


Uno dei più celebri personaggi femminili creati da Marguerite Duras, presente in vari romanzi e film (che si è soliti raggruppare come ciclo indiano, o ciclo di A.-M. Stretter, o ciclo di Lol). È lei la donna vestita di nero, non più giovanissima, alta, magra, con una “grazia abbandonata, incurvata, da uccello morto [...], un pessimismo gaio, radioso”, che nella notte di un ballo rapisce Michael Richardson, il fidanzato di Lol V.Stein (v.), determinando il destino di entrambi (nel romanzo Il rapimento di Lol V. Stein, 1964). È lei la moglie dell'ambasciatore francese che qualche tempo dopo a Calcutta, alla fine degli anni '30, regna su una piccola corte di amici amanti, nel romanzo Il viceconsole (1966). È lei che in India Song, testo teatro film (1973), già morta, sepolta in India, viene fatta rivivere dal desiderio delle voci che ne narrano la storia. È a lei che in India Song, il film girato da Duras nel 1975, l'attrice Delphine Seyrig presta le sue sembianze e la sua voce per renderne evidente “la grazia porosa, pericolosa”. Mentre la prima delle opere citate contiene solo una sorta di indispensabile antefatto, le altre intrecciano in maniera diversa tre storie, intorno a tre personaggi parimenti misteriosi, legati fra loro da somiglianze profonde, essenziali: Anne-Marie Stretter, il viceconsole (v.) francese di Lahore e la mendicante indiana (v.). Lo scenario centrale è un ricevimento all'ambasciata, dove ciascuno dei tre personaggi è oggetto dei discorsi o delle chiacchiere di qualcun altro, ed ogni informazione è incerta, frammentaria, contraddittoria. Emerge qualche briciola del passato di Anne-Marie: Venezia, il talento per la musica, il suo nome italiano, Anna Maria Guardi, il matrimonio a diciotto anni con un amministratore coloniale francese, in servizio a Savannakhet, nel Laos. Laggiù avrebbe assistito, sembra, alla vendita di una bambina malata da parte della madre, una giovane mendicante, restandone sconvolta sino a voler morire. Stretter, in viaggio di ispezione, la porta via con sé, per diciassette anni la trascina nelle capitali asiatiche, Pechino, Mandalay, Bangkok, Rangoon, Sydney, Lahore, infine Calcutta. Nel corso del ricevimento, la nenia della mendicante che si aggira nel parco, dove si distingue ripetutamente la parola “Savannakhet”, fa riaffiorare quella prima storia e l'impossibilità di abituarsi all'orrore dell'India per chi è già ferita nell'anima. Alla tristezza di Anne-Marie, “prigioniera di un dolore troppo antico per essere ancora pianto”, fa eco il gesto di rivolta del viceconsole di Lahore, che ha reagito alla profonda ingiustizia del mondo sparando sui cani e sui lebbrosi addormentati nei giardini di Shalimar. Ora quest'uomo scandaloso, inquietante, notoriamente vergine, provvisoriamente a Calcutta in attesa di trasferimento, coltiva la speranza che lei, l'ambasciatrice francese, che lo ha provocatoriamente invitato, possa comprendere, o almeno accogliere il suo gesto. Dice: “Certe donne fanno impazzire di speranza, non trova? Quelle che hanno l'aria di dormire nelle acque della bontà universale senza discriminazione...quelle verso cui vanno tutte le onde del dolore, queste donne accoglienti”. La totale disponibilità di Anne-Marie Stretter, che si concede a tutti ed “è di chi la vuole”, suscita in molti uomini l'illusione “che accanto a lei possa sopraggiungere l'oblio”, come dice un altro dei suoi intimi ammiratori. Più seducente che bella, come tante creature durassiane, Anne-Marie Stretter racchiude in sé i molteplici segni di una femminilità stereotipata e nello stesso tempo li disordina, li rovescia, ne dimostra la vanità. Perfetta padrona di casa, balla con i diplomatici giovani e belli, pronunciando frasi banali sul tempo, sulla noia, dove a tratti si insinua una malinconica intensità: “Lei capisce, quasi nulla è...è possibile in India...è tutto quello che si può dire. - Di cosa sta parlando? - Oh...di nulla...di questo scoraggiamento generale...Non è spiacevole né piacevole vivere in India. Né facile né difficile...Non è nulla...capisce...nulla”. Al nulla, al vuoto, alla morte, alla promessa di un altrove o di un'estasi, rimandano le sue esitazioni, i suoi silenzi, il suo “sorriso lacerante”, “una lebbra...del cuore”. Marguerite Duras ha parlato molto, nelle interviste, del fascino che Anne-Marie ha esercitato su di lei, e colpisce il fatto che dopo averla condotta sino alla morte, in India Song, non abbia più scritto per anni. Sappiamo che una donna reale, dal cognome simile, ha influenzato la creazione del personaggio, una donna conosciuta durante la prima parte della vita di Duras (diciotto anni trascorsi in Indocina): una sorta di doppio materno, ma anche di emblema del desiderio. Di questa figura troviamo tracce nell'autobiografia di Duras, L'amante (1984), dove è avvicinata alla ragazzina Marguerite per il comportamento scandaloso: “La chiamavano la Signora, veniva da Savannakhet...La stessa differenza separa la signora e la ragazza con il cappello dall'altra gente del posto. Entrambe guardano i viali dei lungofiume, entrambe sono isolate, sole come regine. Il loro errore è davanti gli occhi di tutti. Entrambe sono votate al discredito per la natura del corpo che hanno, accarezzato dagli amanti, baciato dalle loro bocche, abbandonato all'infamia di un piacere che fa morire, si dice...”. La presenza di un altro cognome simile, Strether, ne Gli ambasciatori di Henry James, unita ad altre coincidenze, invita a una lettura parallela di questo romanzo con Il viceconsole e con India Song.

BIBLIOGRAFIA

Marcelle Marini, Térritoires du féminin. Avec Marguerite Duras, Minuit, Paris 1977; Julia Kristeva, La malattia del dolore: Duras, in Sole nero (1987), Feltrinelli, Milano 1988; Mireille Calle-Gruber, L'amour fou, femme fatale. Marguerite Duras, in Roger-Michel Allemand (a cura di), Nouveau roman et archétypes, Minard, Paris 1992.

Voce redatta da Edda Melon per il Dizionario dei personaggi letterari , a cura di Franco Marenco, 3 voll., Utet, Torino 2003.
Per gentile concessione dell’editore.